Notte fonda nella città di Mentos, una notte in
cui le anime abbandonano i loro corpi e si incamminano lungo il sentiero
della morte.
L’auto nera si fermò davanti al numero 25 di Sesame Street.
“Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni, papà?”
“No John, torna pure a casa e saluta Grace e i bambini da parte
mia.”
Il giovane annuì e Norman Stent scese dalla macchina alzando la mano in
segno di saluto. L’auto ripartì e fu inghiottita dalla nebbia che a
quell’ora aleggiava per le strade della città.
Norman aveva settantacinque anni ed era vedovo. Fermo su quel
marciapiede, immerso nell’oscurità, il suo pensiero andò a sua
moglie Marion, morta dieci anni prima. Quando avevano deciso di sposarsi
avevano incontrato molta resistenza da parte di amici e parenti che non
vedevano di buon occhio la loro differenza di età, ma lui non si era
mai pentito di aver sposato una donna più vecchia di lui di dieci anni.
Si girò a guardare il numero 25 che con il suo nero si stagliava netto
contro il bianco della maiolica, quindi si avvicinò al portone e diede
tre colpi di battente. Il solido portone di legno si aprì con un
lugubre cigolio e Norman prese a seguire un tappeto rosso che si snodava
lungo un corridoio illuminato solo da qualche candela. Non si trattava
di candele vere e l’odore era artificiale, ma nel complesso il
risultato era d’effetto. L’unico rumore udibile era il ticchettio
del suo bastone che lo aiutava laddove la sua gamba destra lo
richiedeva. Arrivò in una stanza semibuia, che aveva tutta l’aria di
essere una sala d’attesa e lì vi trovò una signora.
Prese posto di fronte alla donna, piazzando il suo bastone in mezzo alle
gambe e poggiando le mani sulla sua estremità superiore.
“E’ qui da molto signora?” chiese Norman
“No, mia figlia mi ha accompagnata qui qualche minuto fa e poi è
tornata a casa.”
“L’ha salutata?”
“No. A che sarebbe servito?”
“Neanche io ho salutato mio figlio…non come avrei voluto. Ma ora mi
rendo conto che avrei dovuto farlo, dal momento che non lo rivedrò mai
più. Posso sapere il suo nome?”
“Che importanza può avere ormai?” rispose la donna fissando i suoi
occhi azzurri in quelli di Norman
Il suo volto era solcato da rughe profonde e nel complesso la sua
persona mostrava molto più di settantacinque anni. Ma Norman sapeva che
non poteva essere così vecchia. Non esistevano persone così vecchie.
Una luce verde si accese silenziosa sopra una porta sulla loro destra e
la donna si alzò.
“E’ il mio turno.” disse “Arrivederci, è stato un piacere.”
Norman annuì e guardò la porta richiudersi alle spalle della donna.
Avrebbe dovuto insistere nel sapere il suo nome e avrebbe dovuto dirgli
il proprio, ma non aveva fatto né l’una né l’altra cosa e adesso
era troppo tardi. Le vecchie abitudini erano dure a morire e nessuno
coglieva mai l’attimo, nonostante tutti sapessero di poter vivere solo
fino ai settantacinque anni di età. Quella sera Norman aveva spento le
candeline e poi suo figlio lo aveva accompagnato lì…
La donna era entrata da un po’…Ma quanto ci voleva? Aveva sempre
pensato che fosse questione di pochi minuti. In quel momento la luce
verde si accese di nuovo indicando che era arrivato il suo turno e
Norman si alzò. Attraversò la porta e la sentì richiudersi alle sue
spalle. Quella stanza non era molto più illuminata della sala
d’aspetto e tutto ciò che si riusciva a vedere erano stralci di
parete che venivano fuori dall’ombra e altre cinque porte, senza
contare quella da cui era appena entrato.
“Benvenuto.” disse una voce nell’ombra.
“S…salve. Ma chi è? Non riesco a vedere nessuno.”
“Non è necessario che tu mi veda.”
La voce era leggermente metallica e sembrava provenire da un cono
d’ombra di fronte a Norman. Lui però non aveva il coraggio di andare
a controllare se vi fosse effettivamente qualcuno.
“Sei pronto Norman?”
“Si.”
“Davvero Norman? Sei pronto a morire? Ma dimenticavo che lo sai da
settantacinque anni, che ti stai preparando da mesi a questo momento,
non è così Norman? Eppure credo che saperlo non aiuti poi molto.
Adesso ascolta attentamente, perché voglio darti la possibilità di
allungare la tua esistenza. Vedi quelle cinque porte? Ognuna di esse
rappresenta una possibilità di vivere rispettivamente per altri cinque,
dieci, quindici, venti e venticinque anni. Pensaci Norman, pensaci bene
prima di prendere una decisione.”
La voce tacque e Norman si ritrovò solo con sé stesso a riflettere
sulla scelta giusta da fare. Chiunque fosse aveva ragione. Aveva passato
gli ultimi mesi a prepararsi a quel momento. Non c’era stata mattina
che il pensiero che la sua vita stesse per finire non lo avesse
svegliato e adesso gli veniva offerta la possibilità di vivere ancora.
Doveva solo scegliere per quanto ancora. La porta dei venticinque anni
era indubbiamente quella che faceva più gola, quella che portava ai
cento anni di età, ma era davvero possibile per un essere umano vivere
così tanto? La tentazione di scoprirlo era davvero molto forte, eppure
Norman sospettava che sotto dovesse esserci qualche tranello. Si
trattava indubbiamente di una prova e la scelta dell’ultima porta era
quella che la voce si aspettava.
“Ho deciso.” disse infine
“Ebbene?”
“Scelgo la terza porta, quella dei quindici anni.”
“E sia, ma ricorda che non potrai vedere nessuno di tutti quelli che
conoscevi. Non esistono persone così vecchie Norman, tu lo sai bene. Ci
rivedremo qui tra quindici anni esatti.”
La sala d’attesa era semibuia come sempre e Norman sedeva di fronte
alla signora dagli occhi azzurri ormai ricurva su se stessa e con il
viso trasformato in una maschera di rughe. Il bastone di Norman aveva
lasciato il posto ad una sedia a rotelle elettrica.
“Signora?” disse Norman
La donna alzò lentamente la testa senza fissare nessun punto in
particolare e passando il suo bastone da una mano all’altra.
“Chi è?”
“Io…mi perdoni. Il mio nome è Norman. Ci siamo…diciamo che ci
siamo già incontrati. Io…volevo sapere il suo nome signora.”
“Marion.”
“Marion…è un nome bellissimo ed era lo stesso che portava mia
moglie. Cos’è successo ai suoi occhi Marion?”
“Ho perso la vista alcuni anni fa.”
“Come io ho perso le mie gambe. Marion…quanti anni ha?”
“Troppi, Norman. Troppi.”
La luce verde si accese emettendo un sibilo, quasi sapesse che Marion
non era in grado di vederla. La donna si alzò e con l’aiuto del
bastone oltrepassò la soglia.
Minosse fissò la piccola croce bianca che portava il nome di Norman
Stent e che fiancheggiava quella di Marion Hallworth in Stent. Alzò lo
sguardo in direzione del sole e il suo volto di lucido metallo prese a
riflettere la luce del mattino. Minosse, il robot della morte, era stato
costruito per risolvere il problema della sovrappopolazione sulla Terra,
quando era passata la legge sull’eutanasia e la soglia massima di vita
era stata fissata ai settantacinque anni di età. Gli esseri umani
venivano condotti da lui nel giorno del loro settantacinquesimo
compleanno e lui doveva porre fine alla loro esistenza usando le sue
facoltà mentali. E così aveva fatto, ma ogni volta che entrava in
contatto con le menti degli esseri umani si scontrava con il loro
desiderio di continuare a vivere. Quando poi si era trovato di fronte a
Marion era rimasto colpito dal suo desiderio. Marion voleva rivedere il
marito e lui le aveva dato la possibilità di vivere fino al giorno in
cui Norman avesse compiuto settantacinque anni. Lui non l’aveva
riconosciuta, convinto com’era che sua moglie fosse morta dieci anni
prima, ma a Marion questo non era importato e Minosse non era stato in
grado di porre fine alla sua esistenza riscontrando quanto fosse felice
in quel momento. Così l’aveva fatta scegliere un’altra volta e
un’altra volta ancora fino a che Marion non era morta senza che lui
dovesse intervenire. Così aveva deciso che anche Norman avrebbe dovuto
avere le stesse chances della moglie. Quella era stata l’unica
eccezione che aveva fatto alla regola, ma ne era valsa la pena perché
si era trovato di fronte all’aspetto forse più curioso degli esseri
umani, quello di dover per forza avere l’illusione di essere padroni
della loro vita.
In fondo chi era lui per decidere della loro vita e della loro morte?
FINE
Biografia
Il mio nome è Annarita Petrino e sono nata il
18/08/1977 nella ridente cittadina di Giulianova (in provincia di Teramo
– Abruzzo) proprio sulla costa Adriatica.
Ho una laurea in Lingue ed ho sempre pensato che sarei dovuta nascere
tra…diciamo un centinaio d’anni per trovarmi nel mio “giusto”
tempo, ma queste sono cose che non si possono decidere.
Sin da piccola ho sempre avuto una passione sfrenata per la
fantascienza. C’è una foto in cui sono davvero piccolina e seduta su
una sedia di vimini, che mia sorella più grande ha rinominato “Eppur
si muove”. Perché? Ma perché sono nella mia posizione preferita, con
il naso all’insù a scrutare il cielo nella speranza di vedere un
disco volante o semplicemente ad osservare la bellezza mozzafiato della
Luna piena.
In ogni caso, quando le mie amichette leggevano “Cioè” e tutti quei
giornaletti per teen-ager io ero impegnata nella lettura di
“Destinazione Cervello” del grande Isaac Asimov e di tutte le sue
opere più importanti. Questo mi ha permesso di apprezzare il suo genio
in tutte le sue sfumature e sono convinta del fatto che quando è morto
il grande palcoscenico della fantascienza ha perso uno dei suoi
interpreti più originali.
Recentemente mi sono avvicinata al filone cyberpunk leggendo alcune tra
le opere più importanti di William Gibson.
Il mio sogno? Costruirmi una casetta su uno degli asteroidi degli anelli
di Saturno.
Progetti per il futuro? Due viaggi, uno a estremo oriente, a Chiba in
Giappone e uno a estremo occidente nell’area di Roswelt.
Carriera? Mi piacerebbe diventare una scrittrice di professione ma la
strada è lunga e impervia. Io però…non mi scoraggio.
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