Le Poesie di Alessandro Gioia
La maschera di Pierrot
Spesso vago,delirando,
in cerca di una dispersa favola,
ma poi l’orrore,e tremano i miei denti.
Campi di grano finti
e luminosi sentieri,
delle foglie i fruscii,
acque che sgorgano da ruscelli dipinti,
s’impossessano del mio mondo.Alcune volte sogno davvero,
sogni senza tempo,
disperati, fannulloni,
e si confondono i cieli,
immensi spazi, di diversi mondi,
e non oso alzare lo sguardo,
perché vedo sempre ali senza corpi d’uccello.Si avvicinano automi che marciano suonando
cornamuse e fanfare,
vedo orrende scene,
disperate creature,
inciampo su gente magra,
su stomaci etiopi
che dimagriscono non lontano da me.
Sogno una donna che si “cosparge” di profumo francese,indossando diamanti,
grassa e volgare,
donna che calpesta serpenti viscidi
e urlanti.
Mi sveglio e
mi soffoca l’alba,orrendo persino del gallo il canto.
Sono Pierrot,
ecco perché piango.
Raus (Dedicata a tutti gli stranieri)
Le scritte sui muri lasciano il segno.
Sassi
e salite,
alberi e bellissimi
fili d’erba incontraida bambino.
Accadde tutto nei miei sogni
infantili,
nelle fredde notti tedesche.
Sui muri di periferia
Graffiti e scritti:
“ Gli stranieri fuori!”Non era poesia,e io da piccolo non capivo,
indifferente a quel comando, crebbi.
Ma lo straniero ero io!
Dava, forse, fastidio la mia presenza.
La mia assenza, in fondo, bene accettata.
Quelle scritte ci sono ancora,
sui muri delle nostre coscienze emigrate.
Sull’anima di mio padre.
I nostri migliori anni, Giulia.
I nostri giorni migliori
li abbiamo trascorsi tra continue dormite,
giocando a nascondinonei cortili,
andando a pesca con canne usate.
Sognando, con la musica
dei Pink Floyd,
volevamo abbattere il muro.
Non è vero ragazza triste?
E le nostre ginocchia
sbucciate dalle cadute
sul cemento,
che per noi era come un verde prato,
le ricordi.
D’estate viaggiavamo con la menteverso deserte spiagge,
con secchiello e paletta,
a costruire castelli di sabbia.
E tu eri la Regina,
io il tuo timido Re.
Non ricordi nulla vero?
Sei cambiata, sei scomparsa
dietro una siringa usata,
e non vedi, non vivi.
Respiri appena,
e con te il tuo sguardo,
maledettamente spento.
Quel vecchio pescatore
Spesso domando a me stesso
chi siamo o cosa siamo diventati,
del bel paese che eravamo,
fatto di colline, montagne innevate,
e di vini antichi,
nati da viti disperse
di fianco a brulli sentieri,
ora quasi nulla.
Questo niente diverso,
crudo, atroce qualunquismo,
figlio di coscienze stordite,
illumina le nostre vie,
i nostri animi gaudenti.
Ma c’è ancora…il mare,che non è cambiato, sempre verde azzurro,
dai gabbiani sorvolato,
è lì, ci guarda, osserva proprio noi,
con stralunata aria, quasi umano,
ci commisera, in silenzio.
Solo l’andirivieni di spumeggianti onde,lo fa parlare…
e uno stanco pescatore,che ammira conchiglie,
in attesa di una sera,
diversa e fiera, gli parla.