Le Poesie di Alberto Rizzi
MOTTI E DETTI DELL'ALTRO POPOLO
È delle cose incommensurabile
nel sempre il mai mutar stupiditate loro
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Chi non cerca di cercar
in su’ sera s’aritrova secum stesso
frédd’e solo
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De fer, de verre, de viento
viento secc’ ‘e sirrocco
così e più profónd’è il dono
ch’alcuni hanno nel core
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Chiama il quando de che se’ reuscito
a ben confonde’ grano cum loglio
quello tu chiama
“iuorne fortunato”
(Tratta dalla raccolta
“Motti e detti dell'altro popolo”,
autopubblicata e disponibile presso l’autore)
SPECCHIO
È rischio la perfezione
rischio di perdita di vista per nòstripàssi
di conto dei minuti
invece mai scordato altrove
Come acqua rimossi dalla prua d’una nave
come acqua i destini altrui
ritrovano il loro giusto posto
dopo il nostro passaggio
sicché nulla muta e tutto sembra
spesso
senza logica alcuna
Dall’alto d’un qualche vecchio campanile
gracchia tre volte un corvo alla tua sinistra
e tu ti getti in terra disperato
come in mèzz’almàre un naufrago
sopra un relitto che pur crede suo
al tuo volger d’occhi
tendenzioso
almeno una porta resterà
preclusa
(Tratta dalla raccolta “Esplorando”,
autopubblicata e disponibile presso l’autore)
Sono solo in questo quartiere
con l’anima di passo ch’io sono
in queste strade all’artificio illuminate
dove vetusti pueri hanno giocato
di fronte all’ultima speranza
prima che tutto tornasse così
nel silenzio di passi distratti
e noi allora sottobraccio
ad animare il calore sopravvissuto al tramonto
Sto immobile in una tosse
le nocche screpolate
come di pallide statue
fra il verde del canale
(tratto dalla raccolta “La luce, lo specchio”, richiedibile all’autore su www.seautos.it )
Quando sarà il corpo nostro involucro di vermi
sbòccio di mimose
ti rivedrò anch’io con occhi differenti
e ti dirò basta al fiorir delle parole
Non ti si desti meraviglia ‘n core
ora
solo paura per una verità già nota
che con le mani in là dai sensi tocchi
e che t’immerge oscura a luminart’il volto
paura cui non puoi risponder “basta”
ché lei comanda e guida
e pei passi di chi è andato
ha pace ma non tace
(tratto dalla raccolta “La luce, lo specchio”, richiedibile all’autore su www.seautos.it )
Da “Garage” I.1)
Al muro appoggiati stanno
alcuni attrezzi pel giardino
e immersi in un qual lor silenzio stanco
indove forse pensier trovan ricetto
pensier di quei “ancor-non-messi-a-fuoco”
Tu li scorgi
all’ombra polverosa dei ripiani
né poni a lor pront’attenzione
come ogni altra sera
ogni altro giorno
passi a lor d’accanto e sali
ignorando il tuo prolungarsi delle mani
in quegli oggetti, in loro
quando lavori il prato
aperto dentro ad un silenzio
che soffia di sorriso
(tratta dalla raccolta autoprodotta “Moto in luogo”,
reperibile presso l’autore: www.seautos.it seautos.prod@gmail.com)
PER L’INIZIO DELLA PREGHIERA
Nel profondo dell’oscurità
echeggia il mio saluto
posso giudicare ogni forma di apparenza
dalla luce che acceca
ed insozza di bugie
quel tuo ‘ncantato occhio
Cerco un uditorio che non conosca paura
Ciò che è vero
si svela ai fratelli
e sodale ti fa alla pioggia
al mio volere
alla vergine
ed è l’ospite l’unica mia visione
il mio orgoglio
al quale insegnerò le regole del gioco
perché questa palude esige passo sicuro
chiede conto del balbettìo
che sgorga dall’udire la poesia
insicura e mendace
che nasce da quell’occhio
unico ingannato
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Odo una voce
che mi spinge ad alzare la testa
da questo pagliaio di sogni disseccati
un vento porta estate di dolore
ma il tempo
! oh il tempo
? cosa può chiedermi in cambio
Le mie labbra saranno un pozzo
per raggiungere la contemplazione
delle parole stesse
asciutte e calme di lor passo
Invitami ad entrare
senza paura
(tratta dalla raccolta autoprodotta “Opera al nero”, disponibile presso l’autore)
La tua lingua è grata che serra
paratia che divide
la tua lingua è luce sempre accesa
e tu a sceglierne il peso
dell’una come dell’altra
Ciò di cui disponi
dà un potere al tuo fiato
che i molti scordano per ignavia
t’illude a un’inutile ricerca
o ti s’apre come un forziere
a lungo spento dalla sorte
Non importa
come non importano poche gocce di pioggia
nella calura estiva
Però
nel suono che sai d’aver dentro
senza infingimenti scegli
il tùttosvelàre o il silenzio
che ti lega a un’impotenza voluta
com’è voluta ogni altra tua colpa
Così che
con o senza suono
più non puoi fingere la tua ricerca
né in fronte a te
né in fronte ad altri
SECONDA LETTERA A CASA (Il vento gelato sulla faccia)
Avreste dovuto vederlo
così lungodistéso in alto
il muso a spalare il suolo
ed il resto ben’abbracciàto ai rami
croce senza martire
sfranta ed esausta nel dopovólo
tutt’esso come pensiero pietoso
già pronto e apparecchiato al dopomòrte
Nel modesto chiuso d’una baracca d’assi accanto
(come ne suona a scherno suo sul nome, il gioco appena sopra di parole: vedete come le cose ci vengano da sole, anche quando ci si copre; e ci stanano il pensiero, con più cura riposto e vero…)
nella baracca
dico
ne giaceva il pilota
così immoto da parerci morto
ma forse in sé solo sorpreso
da quello sfascio di miopiómbo e d’urto
Né sorrideva, né si lagnava
sua dipartita ormai appannaggio
di propri parenti in luoghi assàilontàni
e stolidi alti gradi
e nulla mi dicea che non m’immaginassi
Ma mi fu risparmiato di vederlo
il suo di lui compagno
sfrànt’esàusto nel confronto contr’al suolo
inmitigato da un qualche azzurro
eppur per sorte forse impercepito
per sorte dei colpi ricevuti, forse
Così me ne tornavo
comm’ che se fusse verso la mi’ famiglia
chiuso in me nell’auto invece aperta
che graziaddìo com’intontuta nel Novembre corre
contr’al vento gelato su miafàccia
che traccia non mi lascia
d’una cicatrice alcuna
(Poesia tratta da “Poesie dell’uccidere in volo”, raccolta ripubblicata nel 2015 tramite la piattaforma online “Youcanprint” (anche in formato e-book) in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale.)
www.seautos.it seautos.prod@gmail.com
SFINTERI INCONTINENTI
Per forza de kesta mia maledictione
io fui escluso da molti
et sol da pochi
ornati d’ogne fede et grazia
accompagnato vialontàn
dai scherzi belluini di quei molti
ché puteolenta scia
d’odor qual più ch’in fregola fa ‘l bécco
ovvero vil porceddu vile
io lasciai andando
per colpa di mie parti keste inani
E più che ciò
essente mentemìa corta d’intelletto
et bambina per modi di sentire
io dissentivo da consumate maniere
et dissenterico m’andavo
per contrada or lochi della casa
viasemenèndo melma ‘n puteolenta scia
d’ebete riso aperto fin’infónd’agl’òcchi
E quando ch’un cherurgo
svelto de mano et d’animo sì pio
mi surgirò sutura per sutura
ogne ‘mperfetta valvula
forzandola a bisogna
ecco ch’io sforzo
strido
ringhio
sghembo le mi’ membra
seppursedàto fra le cinghie
ancor volendo ‘mpestar lo monno tutto
de kella puteolenta scia
che surrogava ogne descorso tutto
màl’ingràdo io de spiegarme
come tutt’ora sono
se non ammezzo e appàrte quell’ebete miorìso
d’allor spesso mutato in spesso pianto
tratta dalla raccolta autoprodotta “Monstra”,richiedibile direttamente all'autore.