I Racconti di Andrea Barsottini
Il salice
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Ci trovavamo ancora nell’ultima primavera in cui la capitale medicea vestiva i regali panni di capitale d Italia. Già da alcuni giorni le vaste piazze facevano da specchio alla nuova urbe, mentre i lunghi viali da raffinata cornice, sì ché l’aria fresca e giallastra del sole vespertino emettesse una luce tanto soffusa quanto più nobiliare di quella di mezzogiorno. Il fiume azzurrognolo riusciva ancora a riflettere le figure dei passanti e scorgere le sagome delle carrozze frettolose, mentre i pesci guizzavano tra le increspature delle brevi onde che la debole corrente provocava. Benché l’atmosfera si presentasse così serena e rassicurante, era sempre vivido e ostentato in me il desiderio di abbandonare quella giungla ammaestrata. Non era quello il mondo e la vita che avevo da sempre sognato?! Una volta forse! Quello che più di ogni altra cosa in quel momento desideravo era andarmene da lì e trovare un luogo dove la vita fosse più semplice e tanto più significativa ed apprezzata più di quanto ormai avvenisse nelle vaste urbanizzazioni. Scelsi così un luogo dove il vocio cittadino e gli zoccoli dei cavalli fossero meno assordanti. Mi ritirai così in un piccolo borgo tra le rive del mare, che il colorito tramonto m'indicava. Fin da subito mi abituai, ove mi fosse concesso, a trascorrere quanto più tempo possibile tra il molo e la spiaggia. Fu in prossimità di questa ultima, nell’avvio d'una pungente mattinata di primavera, l unica ed indimenticabile volta che la vidi, ai piedi d'un maestoso salice, la cui circonferenza del tronco avrebbe impegnato non meno di due braccia a circoscriverlo. Ella se ne stava accovacciata con la testa racchiusa fra le ginocchia, raggomitolata su se stessa come un istrice in difesa; ed esattamente come quella d un istrice era la sua reazione di fronte a chiunque, mosso da curiosità o compassione, si appressasse a lei. Nessuno la conosceva nessuno l aveva mai vista Solo nel libro invisibile del fato poteva esservi scritto il nome che ancora nessun essere vivente è in grado di leggere. Il delizioso nasino, che di quando in quando si affacciava sgusciando dalle membra tremolanti che lo nascondevano, emetteva silenti ma strazianti singulti che all’unisono si confondevano col fragore delle onde infrante sulla banchina, le quali a stento ne coprivano il fremito. Ciò che mi colpì osservandola fu la similitudine tra lei e l’albero a cui sembrava voler affidare la sua vita, la quale sembrava possedere un destino analogo a quello della creatura alle cui falde s'era accasciata chissà da quanto tempo e alle cui radici s'era aggrappata in maniera così decisa quasi da farle sue per non abbandonarle più, come se per lei non esistesse nient’ altro o non ci fosse niente che valesse davvero d'essere vissuto; oppure più semplicemente perché esso rappresentava per lei il puro e stilizzato simbolo della sua vita, destinata ad essere sballottata verso ogni direzione dai venti e soffrire delle intemperie della vita, a prescindere dalla stagione, prima di essiccare lentamente o essere sradicata o stroncata innanzi tempo. Chissà perché, quella creatura così indifesa a compassionevole mi attraeva, turbandomi non poco. Non riuscivo a non fissarla; ero come inebetito da quella scena a volte così flemmatica a volte così aggressiva, come lo stringersi alla pianta; ma sempre e comunque facente leva sulla mia debole volontà. Intento ad osservare ogni sua possibile reazione, nemmeno m'ero accorto dello spesso addensarsi di nubi sopra di noi. Quegli informi ammassi di vapore si raggruppavano come enormi pecore. Prima bianche; poi sempre più scure; fino a formare un oscuro quanto grottesco gregge. Il sole si trovava ormai al di sopra di quella scura coltre. Dall’alto, le rondini scendevano in picchiata come piccoli e micidiali dardi, sfiorando di tanto in tanto lo stesso salice, mentre i gabbiani sfioravano il pelo dell’ormai grigia acqua marina. D'improvviso, quasi senza che qualcuno se ne rendesse conto, un lento cadenzar di gocce incalzò. All’inizio erano quasi impercettibili, poi sempre più fitte e sinuose, tanto da rendere quasi impossibile ripararsene. I passanti, l’uno dopo l’altro, iniziarono a dileguarsi. Nel giro di pochi attimi, la zona rimase deserta. Le gocce di pioggia ricadevano sulle sottili foglie di quell’enorme salice, immediatamente colando giù dalle stesse come lunghe ma fredde lacrime, che attraverso i capelli giungevano al pallido viso mischiandosi a lacrime di ben altra natura, calde e di sofferenza. All’improvviso, come distratta da quel silenzio ormai sovrano di tutto ciò che l udito riusciva a cogliere, ella ebbe la forza ed il coraggio di alzare la testa al fine di guardarsi in giro. I nostri sguardi s incrociarono quasi subito, fissandosi l un con l altro per pochi ma lunghissimi istanti. Malgrado la non breve distanza tra di noi, scorsi ugualmente quel lieve rigonfiamento degl’occhi, conseguente al pianto, e il leggero arrossamento del naso provocato dal continuo strofinio. Inaspettatamente, quelle fosche pupille intrapresero un altra direzione. Ma alzatasi inpiedi, esse si diressero nuovamente verso di me. Nella stessa rapida maniera di come era giunta, la pioggia cessava di cadere. Solo un leggero sibilo di vento ormai accompagnava il silenzio. Le nubi iniziavano a schiarirsi; da scure, lentamente, assumevano una tonalità sempre più chiara: prima grigie, poi nuovamente bianche, fino a diradarsi, permettendo al sole di rischiarare tutto il grigiore che fino a pocanzi ci circondava. Chissà perché, quel repentino cambiamento di stagione fu da me interpretato come un segno parsimonioso del destino. Nemmeno ora riesco a comprendere dove trassi la forza di dirigermi verso di lei rivolgendole pavidamente la parola. La sua reazione fu quella d un cucciolo smarrito e spaventato, e alquanto diffidente. Ma tale era la sua necessità di protezione che immediatamente abbassò le sue difese erette, e s abbandonò passivamente tra le mie braccia. Rimase stretta a me per l intero resto della mattinata. Il suo corpo sembrava nutrirsi del calore del mio. Soltanto innanzi al sole rivolto al mezzogiorno la sua gradevole quanto riverente morsa iniziò ad allentarsi, sempre continuando a percepire ogni suo palpito e ogni suo brivido. Più il suo cuore rallentava il suo ritmo, più il mio accelerava; più le sue emozioni e le sue fobie si sopivano, più le mie si agitavano. Alla fine, come un mare in tempesta, sentimenti, passioni e ragioni si accavallarono l un coll’altro, fondendosi in un unica sensazione di cui nemmeno ora so distinguere la natura; solo l’origine ne era ben chiara: quella triste creatura, che a suo modo e nella più semplice e innocente delle intenzionalità, mi stava donando tutto questo! Il senso di rifugio che io le stavo offrendo sembrava venirmi a suo volta ritrasmesso. In breve divenni l unica sorgente di protezione per lei. Il sostegno morale che le avevo offerto cautamente si tramutò in gratitudine, poi in affetto e infine in passione, ricambiando decisamente le mie emozioni. Lentamente il suo volto rotondo iniziava a sorridere; le sue labbra sottili assumevano un colore rosso vivo; i suoi occhi, inizialmente spenti e inespressivi come un antica scultura ellenica, raggiungevano la stessa tonalità dei suoi capelli, uno scuro antracite, abbandonando il grigiore delle ore precedenti; la pelle giungeva il grado di luminosità e splendore della madreperla. Il destino sembrava finalmente gratificarla. Dopo un infinita diatriba, la vita stava finalmente risarcendola di ciò che le aveva brutalmente sottratto. La solitudine e l indifferenza che fino a poche ore prima l affliggevano sembravano non appartenerle più. Non ci scostammo da lì nemmeno per un istante. Al moto costante delle onde, all’aleggiare turbinoso delle rondini e dei gabbiani che errano nell’aria come vividi fuochi fatui e alla gente che passeggiava sulla riva, io e lei replicavamo con l immobilità: statici ci trattenevamo ad osservare la frenesia che ci circondava. Mentre il cielo e il mare assumevano sempre più il medesimo colore e l aria s’imbruniva, il sole, che fino a poco prima si nascondeva dietro a quelle gonfie nubi, ora stava lentamente svanendo fra i flutti marini. La lunga giornata stava volgendo al termine. Entrambi desideravamo che essa durasse per sempre. Ma si sa che il sempre è solo un’illusione. Tutto prima o poi, così come inizia, termina. Ma il desiderio e la speranza di prolungare fino allo stremo questo sogno erano irriducibili, e, all’ apparenza, anche insuperabili. Ma la volontà individuale spesso non è sufficiente a contrastare quella suprema e potente del destino. Il sole era ormai fuggito, rendendosi ormai invisibile al nostro sguardo. In compenso, la luna mai era stata più fulgente. Essa, impavida, sembrava osservarci. La sua luce riflessa ma brillante illuminava i nostri sguardi, fornendoci una serie di ombre sinistre come le stesse tenebre. L aria era ormai fresca. Al canto soave del passerotto e della tortora si era sostituito quello cupo della civetta e del barbagianni; allo svolazzare colorato e smagliante delle farfalle diurne era subentrato quello vorticoso delle falene. Il mondo sembrava non essere più lo stesso. Eppure quante volte la stessa scena si era riproposta ai miei occhi! Ma quella era la prima volta che mi rendevo conto di quanto differisca la vita dal momento in cui protagonista è il sole, da quello in cui lo è la luna. C’era davvero bisogno della compagnia di una sì tanto semplice e sventurata creatura per farmi rendere conto di tutto ciò?! La notte era ancora agli inizi. Percepivamo solo il moto perpetuo del mare e il soffio del vento che ci fischiava nelle orecchie e s'insinuava impertinente tra i nostri capelli. Malgrado la sensazione di essere osservati dagli astri non ci avesse mai abbandonati, i nostri corpi, come le nostre menti, si scoprivano intrecciati in un unica ebbra spirale, fondendosi l uno nell’ altro. I nostri sensi si univano: attraverso i suoi occhi vedevo me stesso; tramite la sua pelle avvertivo il mio calore; mediante il suo udito percepivo il suono della mia voce. Così trascorse l intera notte! Entrambi ritenevamo d'aver dunque raggiunto il massimo delle aspettative. E tutto sommato era così! In virtù di questo, come se avessimo avvertito l agguato del destino, il tempo sembrava stringersi addosso. La pungente sensazione che da un momento all’ altro tutto potesse cessare ci rendeva irrequieti e instabili. Ma mentre in me questa avanzava in maniera blanda e pacata, in lei lo smanioso timore si tramutava repentinamente in terrore, risultando ancora più determinato del suo desiderio di sopravvivere e d'essere felice. Ancor prima che l’ aura imbiondisse e il sole facesse la sua trionfale comparsa, al primo coro dell’ usignolo, ella decise per sua libera scelta di sottrarsi alla vita, al fine di beffare il destino stesso privandolo per sempre del suo oscuro compito. Quello coraggioso e simile ad un grido di guerra che ella lanciava nel suo ultimo momento di vita, era forse un urlo di vittoria o di sconfitta? Vittoria verso il fato o sconfitta verso la vita? Gioie
e sofferenze fanno da corredo alla vita. Ma ancor più strano è come il
destino, spesso, renda l esistenza a momenti arida di avventure ed emozioni,
ed altre volte così intensa e prodiga di esperienze, le quali ci
crollano addosso come una cascata, sconvolgendola, per poi ripiombare
nello stesso precedente squallore. Fu precisamente questo che avvenne
alla mia vita. Uno sconvolgimento tanto provvido quanto radicale,
anche se per un solo giorno. Ma anche se la mia vita rimase la medesima,
quella avventura lasciò un segno. Lo stesso che ogni tanto mi
rammenta che vivere è una continua incognita, e che ogni essere, suo
malgrado, è responsabile dell’ involontaria quanto sconosciuta
missione che è votato a compiere. Tuttora
accade che io mi soffermi di fronte allo stesso salice che ci ha tenuti
legati e a quella sua fredda e tetra ultima dimora (sulla cui pallida
pietra anonima solo una modesta croce fa da vana protagonista). Ma
sebbene consunta dalla vastità del tempo trascorso, tanto più forte è
la tentazione di rivolgerle lo sguardo, quanto maggiore la resistenza
che me lo impedisce; come se non osservando concepissi di sentirla ancora
con me. FINE |